Fiumicino, 27 aprile 2024 – Una nuova specie che “vaga” per i nostri mari: il vermocane è un verme marino errante, nativo della zona tropicale dell’Oceano Atlantico e del Mar Mediterraneo, ma proviene anche dai Caribi, dal Golfo di Guinea e dall’Africa. Ultimamente, però, sembra abbia scelto come suo habitat d’elezione proprio il Mar Mediterraneo, dove sta proliferando ed è arrivato anche sulle coste del litorale Laziale. E questa non è una notizia rassicurante: dopo l’emergenza granchio blu (leggi qui), che è ancora una grande minaccia, il vermocane sembrerebbe essere ancora più dannoso per il nostro ecosistema marino e rischioso per l’uomo.
Conosciuto anche come “verme di fuoco” a causa delle sue setole irritanti, il vermocane (Hermodice carunculata), a differenza del granchio blu (leggi qui), non è una specie “aliena” perché vive da sempre nel Mediterraneo. Ma si sta moltiplicando a dismisura a causa del caldo: il riscaldamento globale lo sta spingendo a spostarsi verso mari che prima erano più freddi. Per questo è un organismo “errante”: se il riscaldamento aumenta, aumenteranno i luoghi in cui si sposta.
E’ un invertebrato proveniente dalla famiglia dei Policheti che, a prima vista, sembra quasi un millepiedi: la su lunghezza parte da 15 centimetri ma può arrivare a raggiungere anche più di 50 centimetri. Il suo aspetto è allungato e appiattito, presenta segmenti multipli, sete bianche, parapodi e branchie situati sui lati del corpo. I suoi colori sono vari e vanno dal verdastro, al giallastro, al rossastro, dal grigiastro al bianco con un bagliore perlaceo. Il corpo è composto da 60 a 150 segmenti identici separati tra loro da una sottile linea bianca e protetti da cuticole. Ogni segmento è rivestito di ciuffi di setole velenose. La bocca è ventrale e si trova sul secondo segmento. La testa è mostrata nel primo segmento e comprende gli occhi e altri organi di senso.
Il vermocane vive nei fondali marini soprattutto quelli acque costiere tropicali e sub-tropicali dell’Oceano Atlantico. Lo troviamo anche sulle coste italiane perché vive a basse profondità in molti ambienti: rocce, coralli, fango e soprattutto la posidonia. Ma non è strano trovarlo anche sul legname alla deriva e nelle infrastrutture portuali, dove l’acqua è poco profonda. Essendo “errante”, come detto in precedenza, tende a spostarsi è a cambiare “casa” a causa dell’aumento del riscaldamento globale.
La sua alimentazione è molto varia, ma è noto per la sua funzione di “spazzino”: si nutre di pesci morti e sostanze in decomposizione, ma possono anche cibarsi di organismi vivi come i ricci di mare. Spesso predilige anche anemoni, coralli, invertebrati e piccoli crostacei. Ma non disdegna calamari, cozze e molluschi. Insomma, la sua è una dieta variata che sta mettendo seriamente a rischio i nostri mari.
Il vermocane può è sta già creando disagi all’economia del mare: la sua “dieta” variata è una minaccia per tutto l’ecosistema marino e per la pesca perché si nutre della materia prima che il motore di questo settore. Ad essere maggiormente colpita è la piccola pesca costiera.
I danni si sono già registrati nel sud Italia, ma si teme che possano diventare ingenti anche sulle nostre coste, come avvenuto con il granchio blu che ha “invaso” Fiumicino e dintorni: ancora oggi sono numerosi quelli che finiscono nelle reti dei pescatori locali. La cosa preoccupante, anche nel caso del vermocane, è che non c’è un predatore in grado di contenerlo se non l’uomo stesso.
… e per l’essere umano
Questa specie diventa rischiosa anche per l’essere umano nel momento in cui lo punge: le sue setole sono velenose e possono penetrare nella pelle, provocando forte bruciore, intorpidimento e prurito. Nei casi più gravi può portare anche nausea e febbre. Trovandosi a basse profondità, spesso si nasconde nei fondali sabbiosi e i bagnanti potrebbero calpestarli accidentalmente. Un po’ come accade con la tracina (conosciuta come pesce ragno). Il vermocane non rappresenta, quindi, un rischio per la vita dell’uomo, ma può provocare forti disagi. Il rischio più grave resta quello dei danni che può provocare all’intero ecosistema.
Come rispondere all’emergenza
Per dare una risposta al come affrontare questa emergenza è stato messo in atto il progetto Worms Out dall’ente capofila OGS, in collaborazione con le università di Catania, di Messina, di Modena e Reggio Emilia, l’Ispra e l’Area marina protetta Capo Milazzo. Questo progetto – come riportato su unictmagazine – ha come obbiettivo un continuo approfondimento sulla distribuzione e l’abbondanza del vermocane, soprattutto lungo le coste siciliane tirreniche e ioniche. Nel progetto verranno utilizzate trappole idonee a catturare la specie e avvalendosi dell’esperienza e della conoscenza dei pescatori si cercherà di capire come contrastare l’invasività.
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