Roma, 16 novembre 2024- “Qui non è Hollywood” è il titolo di serie televisiva da poco uscita su Disney plus ma è anche una promessa illusoria. Perché forse è vero, qui non è Hollywood ma è una piattaforma streaming che utilizza gli stessi meccanismi dell’industria cinematografica. Creata da Pippo Mezzapesa, la serie è prodotta da Fandango in collaborazione con Rai Fiction. Ispirata all’omonimo libro di Mario Biondi, i quattro episodi raccontano di una ragazzina uccisa dagli zii e dalla cugina. All’omicidio segue un clamore mediatico fatto da continui andirivieni che sconvolgono la piccola cittadina di Avetrana. Potrebbe quindi essere la solita serie crime ma è qualcosa di più: perché il racconto non è frutto di fantasia ma è reale, e la quindicenne uccisa è Sarah Scazzi ed il suo è uno dei casi che hanno più sconvolto la penisola.
“Il delitto di Avetrana è un caso che ha sconvolto l’Italia e mosso l’opinione pubblica, Ringrazio The Walt Disney Company Italia e Groenlandia per avermi offerto l’occasione di raccontare con grande libertà – dice il registra- questa storia a cui ci siamo approcciati con la cura che merita un caso cosìcomplesso, che continua a catturare l’interesse di tutti. Una storia che abbiamo voluto rappresentare attraverso gli occhi dei suoi protagonisti”.
Gli episodi sviluppano la storia dal punto di vista di alcuni dei protagonisti di questa cronaca: Sarah, Sabrina, Michele e Cosima. Quelle che un tempo sono state persone reali, ora diventano personaggi impacchettati per il piccolo schermo. La serie è ben fatta, su questo non ci piove. Il cast è all’altezza e, volendo usare termini economici, il prodotto è sicuramente ben spendibile. Ma, se per un tratto volessimo esulare dalla logica del consumo onnivoro di prodotti mediatici, e volessimo porci- anche solo per distrazione- un quesito etico, dovremmo sicuramente risponderci che è strano cibarci di serie televisive su omicidi reali, allo stesso modo in cui ci serviamo di oggetti di fantasia.
Forse lo dimentichiamo, forse ci piace dimenticare che guardiamo fatti reali. O forse l’idea di guardare cose realmente accadute accende in noi una curiosità morbosa, la stessa che alimenta la nuova industria delle piattaforme streaming.? Ora ci raccontano di Sarah, quest’estate era stato disturbata un’altra vicenda terribile e dolorosissima, quella di Yara Gambirasio. La pornografia del dolore fa ancora la sua scena ed è stata monetizzata, come tutto.
Basti guardare ai titoli stampa che seguono ad un’efferatezza. Abbiamo imparato a leggere e ci piace leggere dettagli cruenti, intimi, pieni di sangue. Le testate spesso pubblicano video e foto che quando non ritraggano immediatamente la tragedia, sappiano prometterci i momenti immediatamente antecedenti o successivi. Il fratello di Sarah in questo caso ha espresso una posizione positiva, ringraziando per la ricostruzione che rende giustizia alla figura della sorella. Ma non è sempre così: immaginiamo che umanamente rivedere fatti che hanno portato alla morte, violenta ed ingiusta, di un proprio caro possa essere doloroso per i familiari delle vittime che- diciamolo ancora una volta-non sono persone scritte dalla fantasia di un regista, ma persone concrete portate alla ribalta da atti osceni e disumani.
Chiaramente si tratta di un circolo vizioso. Le piattaforme streaming investono in un prodotto di un certo tipo perché sanno che verrà guardato. Le persone guardano un prodotto di un certo tipo perché le piattaforme streaming lo propongono sempre più. In un algoritmo senza spiraglio, il rischio è di anestetizzarci e farci dimentichi del rispetto che è dovuto a queste vicende. Un rispetto che dovrebbe essere pieno di pudore, di limiti che non andrebbero superati, di show che non dovrebbero esser fatti.
Foto: Facebook, @pippomezzapesa
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