Roma, 8 novembre 2024- E’ nelle sale da poco e, come qualsivoglia opera dello stesso regista, “Parthenope” fa un gran parlare di sé. Il film, di Paolo Sorrentino, è una scrittura interdimensionale che incarna la bellezza – la bruttezza- e la complessità di Napoli, mescolando elementi di musica, arte e vita quotidiana. La regia, con quello stile inconfondibile che è tutto visivo, riesce a catturare l’essenza di una città vibrante e contraddittoria. Anche la musica fa la sua parte, ed è irrinunciabile, arricchendo l’atmosfera, dando espressione a sentimenti sotterranei che, altrimenti, rimarrebbero sotto pelle, lasciati soltanto all’intuizione dello spettatore. I personaggi, con le loro storie intrecciate, offrono uno spaccato autentico della cultura partenopea. “Partenope” è un viaggio emozionante che celebra la vita, con tutte le sue sfide e meraviglie, rendendolo un film imperdibile per gli amanti del cinema d’autore.
Parthenope, interpretata magistralmente da Celeste della Porta, è così bella che la vita le cede senza troppi sforzi. E’ ambigua, intelligente, talentuosa, intuitiva. Se fosse d’un’epoca altra, potremmo dire che la donna rassomiglia a quelle eroine dei miti classici che ci insegnavano a scuola. Guccini cantava che gli eroi son tutti giovani e belli ed è questo il caso. Insomma, Parthenope sembra non essere di questo mondo, apparentemente così lontana dalle nostre vite imperfette. E come qualsiasi mito, nonostante di tanto in tanto nel film compaia la notazione di una data che segnala lo scorrere del tempo, ci sembra d’essere assolutamente fuori da qualsiasi dimensione cronologica. Le prime scene si snodano in un paesaggio naturalistico mozzafiato e immutabile, una location che potrebbe essere il paradiso terreste o l’olimpo. La bambina nasce nelle acque del mare, come Venere, la dea della bellezza. La regia regala alcune foto immobili, che immortalano la ragazza- nella sua giovane età delirante d’una forza misteriosa- sullo sfondo di una Napoli perfetta, ricca d’azzurro e poesia.
Nel film si segnalano alcune fughe nel sogno, una dimensione altra che sembra far da continuo alla narrazione mitologica. Alcune scene paiono così surreali da essere grottesche o caricaturali. Il figlio del professore, gigante e malformato, la carrozza che funge da letto, il rapporto sessuale con indosso i gioielli del tesoro di san Gennaro, ma anche la diva isterica con tanto di parrucca e discorso maldicente sul capo-luogo campano. Racconti particolari, quasi sinistri, che hanno però una precisa funzione all’interno dell’economia del racconto. A chi guardi con attenzione, queste scene rivelano le falle dietro un’apparenza di mito. Parthenope così smette d’essere invincibile e intoccabile e conosce le storture del reale.
Gli elementi sinistri, le brutture, il tempo
Qualcosa ad un punto, nello scorrere impeccabile ed esteticamente appagante degli eventi, si rompe. Le falle in quella trama mitologica si ampliano dopo il suicidio del fratellastro che, dondolando all’indietro su una balaustra, si consegna- di fatto uccidendosi- a quello stesso mare che, fino a quel punto, avevamo creduto esser segno di perfezione. Ora non c’è più nessun paradiso terrestre e la scena immediatamente successiva la vede seduta in una stanza coperta di lenzuola, quasi come se ora la bellezza dovesse esser celata. Da questo punto in poi, il tono cambia: Parthenope scopre il dolore, il pianto, la corruzione, la paura e scopre persino una Napoli diversa, non più quella azzurra e pacata, ma la sfrenata città dei vicoli, senza regole e pudori. Lei è sempre la stessa, ma più adulta. Ancora sua la forza e l’ambizione ma anche qualche ombra. Non è più moralmente intoccabile, ella ora è contagiata dalla colpa e dal dubbio. E’ rientrata negli schemi umani, può essere giudicata secondo parametri etici- cosa che per un’eroina del mito è impossibile da fare- tanto che il suo professore sente di rassicurarla: ” Io non la giudicherò mai, lei non mi giudicherà mai”.
L’elemento incontrastabile che ricolloca Parthenope sul piano reale è che il regista sceglie di mostrare la sua vecchiaia. Anche per quella che ci sembrava l’eroina d’un mito, il tempo è infine passato.
Una donna…scritta da un uomo
Alcuni hanno recepito Parthenope come l’ennesimo film in cui la protagonista è una donna a misura d’uomo: bella, seducente, con la risposta sempre pronta. Insomma, Parthenope è fatta per appagare lo sguardo maschile. Certo, è una chiave di lettura, a cui però devono esser concesse delle valide attenuanti. Parthenope, come ammesso dallo stesso regista, è una metafora della città di Napoli che da sempre è legata all’immagine di una sirena che ammalia. Era importante dunque che quella bellezza destabilizzante che è propria di tutti i racconti popolari su Parthenope fosse riportata nel film, non necessariamente per creare ” una donna per l’uomo”. Inoltre, come abbiamo detto, a Parthenope è concessa la possibilità d’esser reale, con le sue ombre. Crediti foto: Facebook.
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