Un giovane studente con una maledizione antica in un’Italia alle prese col Risorgimento. Nel suo ultimo capolavoro letterario, Antonello Di Carlo ribalta in tutto la figura del licantropo, metà uomo e metà bestia, facendo emergere sentimenti nobili, alcuni oramai completamente assenti negli eroi letterari dei nostri giorni, da un animale che, in realtà, animale non è. O meglio, non vuole esserlo nel senso in cui lo intendiamo noi.
In “Diario di un giovane licantropo”, Di Carlo trascina il lettore nella mente di Giuseppe, studente siciliano che lascia l’Alma Mater di Bologna per unirsi alla spedizione dei Mille. Ha 23 anni e da poco ha capito di essere marchiato da un qualcosa di antico, forse malvagio. Una punizione degli dei per alcuni, un prodigio della natura per altri, che però lo aiuta a comprendere cosa sta accadendo alla sua amata terra, la Sicilia.
Tra corruzioni, amore, battaglie, il racconto in prima persona dei fatti storici, alternati a versi di poesia, offrono uno spunto senza precedenti per comprendere, con una nuova chiave di lettura, ciò che è stata – e quanto è costata – l’Unità d’Italia. In una Sicilia dipinta come la più bella delle opere d’arte, le rovine dei templi antichi lasciano spazio alle vie delle città moderne, teatro di un conflitto atroce che lascia spazio a una riflessione oggi più che mai attuale in questi giorni di conflitto in Europa: “Come si determina la vera differenza tra l’uomo e la bestia, e, soprattutto, dove finisce l’uno e inizia l’altra?”.