Secondo un documento presentato da Reporter Senza Frontiere a fine 2022, negli ultimi 20 anni circa 1.668 giornalisti hanno perso la vita in territorio guerra. Numeri che, tra l’altro, non sono aggiornati. All’attivo mancano gli altri corrispondenti uccisi in Ucraina e gli inviati morti nel cimitero a cielo aperto di Gaza, oltre a tutti coloro che hanno perso la vita nelle guerre in corso, colpevolmente dimenticate (leggi qui).
Essere giornalisti in tempo di guerra significa combattere una guerra senza mitra e bombe, ma con macchine fotografiche e computer a portata di mano. Infiltrandosi negli eserciti, stringendo legami con le fonti sul territorio. Perchè, in fondo, la guerra qualcuno deve raccontarla sul campo di battaglia. E’ su tutto ciò che s’incentra la trama di Civil War, film diretto da Alex Garland, attualmente proiettato nei cinema italiani.
Negli Stati Uniti è scoppiata la guerra civile. Il fuoco divampa nelle città, i carrarmati colpiscono case ed edifici pubblici, il cielo viene illuminato dalla luce di spari e bombe, i ribelli giustiziano i soldati ancora fedeli al “sistema”. Ma i militari filo-governativi ormai sono pochi, pochissimi: i secessionisti, le West Forces di Texas e California, sono ad un passo dal sovvertire l’ordine democratico. Il Presidente prova un disperato colpo di coda, con un discorso alla Nazione debole ed incerto. Ma finchè occupa lo Studio Ovale, la democrazia è salva, almeno formalmente. Lo sanno anche i ribelli, che vogliono arrivare a Washington e sfondare le mura della Casa Bianca. Dipende tutto da questo.
A raccontare il dramma in corso ci sono, inizialmente, 3 giornalisti: Lee Smith, Joel e Sammy. Lavorano per testate rivali, ma questo non conta più. Lee e Joel fiutano la situazione, sanno che il vento sta per cambiare, con il Governo sull’orlo del baratro: in fondo, sono giornalisti che vivono sul territorio, sul campo.
Conoscono benissimo la realtà che li circonda. Motivo per cui, prima della fine di tutto, vogliono ballare l’ultimo tango: l’obiettivo è quello di arrivare a Washington, fotografare ed intervistare il Presidente prima che i secessionisti lo ammazzino. Insomma, la storia del secolo. Sammy, vecchio volpone, prova a fermarli, perchè a Washington i ribelli sparano a vista ai giornalisti. Lui ha un altro: vuole andare al fronte, in prima linea. Ma non avendo altri passaggi, alla fine si unisce a loro. E non solo lui: ad intrufolarsi è anche Jessie, giovane aspirante fotoreporter di guerra, disposta a tutto pur di far parte della squadra. Alla fine, senza chiedere il permesso a nessuno, ci riesce. Lee la mette in guardia su ciò che vedrà, ma ciò non cambia, con Jessie che sale sul furgone diretto a Washington.
Il viaggio verso Washington
I 4 si mettono in moto: li aspetta un lungo viaggio verso la Capitale. A bordo del proprio furgone “Press”, come una normale troupe televisiva, macinano miglia su miglia per arrivare a destinazione. Di orrori, ne vedranno tanti. Jessie ne rimarrà sconvolta, come quando vedrà 2 uomini ridotti in fin di vita in una stazione di benzina. Lee, invece, chiede al carnefice di mettersi in posa in modo da scattargli una foto. Il suo lavoro, in fondo, è questo: documentare.
Di scene così Lee ne ha viste tante, anche se a quegli orrori non riesce ad abituarsi. Se insieme al suo team si mostra glaciale, come se neanche la morte la toccasse nell’animo, in privato ha gli incubi: ripensa agli uomini arsi vivi di fronte a lei, le fosse comuni, i cadaveri per strada. Piange nella sua vasca da bagno, ma non può e non riesce a sfuggire dal suo destino. Stare sul campo, fotografare e documentare, è più forte di lei.
Jessie, per lei, stravede. La prende come esempio, la segue, l’ascolta. E’ la sua “madrina” spirituale. L’allieva spera, un giorno, di superare la maestra. Con la sua macchina fotografica scatta qualunque cosa si trovi di fronte. Ma anche la giovane, quando andrà faccia a faccia con morte, guerra ed orrori, avrà dei tentennamenti. E sarà a quel punto che Civil War prenderà una strada diversa e completamente inaspettata.
Limitandoci alla trama generale, in modo da evitare spoiler al lettore, Civil War è una sorpresa. “E’ la classica americanata” avranno pensato molti, prima di vederla: eroi pronti a salvare il mondo, scene di azione al limite del fantasy, il bene contro il male. E invece, tutt’altro. La pellicola rompe gli schemi, sfidando anche la stessa tradizione americana. A comandare, sempre, sono i cattivi, i buoni non esistono. Nemmeno i giornalisti sul campo lo sono. Loro sono lì per fare il loro lavoro, non per fermare la rivoluzione in corso. Non è compito loro.
Ma oltre a ciò, il film dà un forte senso di realtà, e qui torniamo a ciò che dicevamo all’inizio. Gli inviati in tempo di guerra combattono anche loro. S’infilano la casacca Press, si muovono nei campi minati, schivano proiettili. Rischiano la vita e, spesso, lì la perdono. Costretti a fare i conti con i propri demoni, i flashback, il passato. “Ma chi me lo fa fare”, si chiedono in molti. Ma alla fine, restano sul campo. Vorrebbero tornare a casa, ma prevale il senso del dovere e raccontare storie. In questo caso, la storia del secolo. (Foto: Wikipedia)
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